Prescrizioni anti-covid: legittima la sanzione disciplinare al dipendente che non le osserva

Il Tribunale di Venezia, sez. lav., sentenza 4 giugno 2021, conferma la sanzione disciplinare comminata dal datore di lavoro ad un dipendente per mancato utilizzo della mascherina nonché per la contestazione della politica aziendale in punto di normativa anti-covid.

Tribunale di Venezia, sez. lav., sentenza 4 giugno 2021

 

La questione affrontata dal Tribunale di Venezia riguarda il caso di un lavoratore, tra l’altro RLS, il quale è stato sanzionato dal datore di lavoro per inosservanza delle disposizioni aziendali in materia di dpi anti-covid (in particolare l’uso della mascherina) nonché per invettiva pubblica della politica aziendale in tema di misure di sicurezza per contrasto alla pandemia.

È noto come sia principio generale quello secondo il quale il datore di lavoro è obbligato a tutelare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Il principio, che trova fondamento costituzionale nell’art. 32 Cost., è espresso dall’art. 2087 c.c. secondo il quale il datore di lavoro è tenuto tanto ad astenersi da comportamenti lesivi nei confronti del lavoratore quanto ad adottare tutte le misure, idonee allo stato dell’arte, in materia di sicurezza ed igiene sul posto di lavoro, al fine di preservare l’integrità psicofisica e la dignità morale dei lavoratori nell’ambiente di lavoro. Il sistema è completato dal D.Lgs. n. 81/2008 che prevede specifici obblighi e procedure per la salvaguardia della salute e la prevenzione delle malattie e degli infortuni sul lavoro.

In tale panorama si inseriscono le norme emergenziali imposte dal diffondersi della pandemia da Sars-Cov2 che hanno implementato ed accentuato gli obblighi prevenzionistici in capo al datore di lavoro. In particolare, si ricorda il D.P.C.M. del 17 maggio 2020 nonché il Protocollo di regolamentazione anti-contagio del 14 marzo 2020 condiviso da Governo e parti sociali, integrato dal successivo Protocollo del 24 aprile 2020 che contiene le linee-guida stabilite in accordo tra le parti firmatarie per l’adozione nelle imprese dei protocolli anti-contagio e per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro. A tali norme si aggiungono, poi, i Protocolli di sicurezza siglati a livello aziendale, in applicazione del Protocollo condiviso del 14 marzo 2020. Tale reticolato normativo e negoziale interviene a regolamentare gli obblighi di tutela dei datori di lavoro, nello specifico, in tema di informazione dettagliata e formazione dei lavoratori, modalità di ingresso e uscita dai luoghi di lavoro, obbligo di pulizia e sanificazione dell’azienda, regolamentazione dell’esecuzione dell’attività lavorativa e, naturalmente, utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.

È evidente che ai maggiori obblighi prevenzionistici in capo al datore di lavoro corrispondano maggiori obblighi anche dei lavoratori che, in concreto, devono rispettare tutte le misure anticontagio messe in atto dal datore di lavoro sul quale, specularmente, grava un dovere di sorveglianza del rispetto, da parte del lavoratore, di tutta la normativa in materia di sicurezza nonché, nello specifico, in materia di prevenzione del contagio da Sars-Cov2.

Va osservato, infatti, che l’esercizio da parte del datore di lavoro della sorveglianza circa l’adozione da parte del dipendente delle misure di igiene e sicurezza sul lavoro è un obbligo imposto dalla normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Conseguentemente, l’esercizio del potere disciplinare in questa materia è da sempre considerato corollario necessario del dovere datoriale di sorveglianza. Sotto altro aspetto, inoltre, le violazioni dei lavoratori alla normativa prevenzionistica sono rilevanti anche quali violazioni dei generali obblighi di diligenza e fedeltà (artt. 2014 e 2015 c.c.) che secondo la giurisprudenza vanno intesi in senso ampio e comprensivo del dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto dia lavoro.

Detto ciò, è necessario anche evidenziare come la Contrattazione Collettiva sia sempre stata restia a fare oggetto di specifica previsione, nei propri codici disciplinari, delle infrazioni e delle correlate sanzioni in materia di sicurezza sul lavoro.

A ciò, in particolare nella fase emergenziale imposta dal Covid-19, hanno supplito i datori di lavoro, disponendo un proprio regolamento aziendale positivo di norme disciplinari (se possibile di concerto con le OO.SS.) che dettagliatamente descrivono i comportamenti dovuti dai lavoratori quali destinatari del Protocollo di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro, e, con riguardo a ciascun obbligo, le sanzioni gradatamente applicabili in caso di infrazione, in sintonia sostanziale con la ordinaria progressione delle sanzioni prevista dal CCNL applicato al rapporto di lavoro. Tale codice disciplinare aziendale introdotto con regolamento è soggetto agli obblighi di pubblicità di cui all’art. 7 della L. n. 300/1970 e cioè affissione nell’unità produttiva in luogo accessibile a tutti i lavoratori (non suscettibile di equivalenti), pena la nullità della sanzione disciplinare.

Ne consegue che, una volta che il datore di lavoro abbia provveduto alla informazione e alla formazione in ordine alle disposizioni prevenzionistiche, riveste certamente rilievo disciplinare (art. 2016 c.c. e art. 7 della L. n. 300/1970) la violazione da parte del dipendente delle nuove regole.

Di contro, deve essere richiamato l’art. 44 D.Lgs. n. 81/08 che prevede espressamente: “il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa”.

Di conseguenza un eventuale provvedimento sanzionatorio adottato nei confronti di un lavoratore che rifiuti di prestare la propria attività in luoghi di lavoro ove non siano stati adottati adeguati livelli di protezione sarebbe da considerare sicuramente illegittimo.

Nel solco di tutta l’evoluzione normativa e regolamentare sopra descritta si inserisce la sentenza del Tribunale di Venezia che si commenta.

Il Giudice rileva, preliminarmente, che, a seguito dell’emanazione del D.L. n. 18/2020 (c.d. Cura Italia), le infezioni da COVID-19 occorse in occasione di lavoro sono equiparate ad infortunio. Ne consegue che il datore deve mettere in atto tutte le misure antinfortunistiche introdotte durante l’emergenza pandemica per evitare la diffusione del contagio nei luoghi di lavoro. In particolare, le aziende sono tenute ad applicare il protocollo condiviso Governo/parti sociali del 24 aprile 2020, che prevede tra le misure finalizzate a contrastare la diffusione del COVID-19 anche la fornitura di mascherine ai lavoratori, con l’obbligo di indossarle ove non sia possibile mantenere la distanza interpersonale di almeno un metro.

Secondo il Giudice, dunque, non è giustificabile la pretesa del dipendente di non indossare la mascherina sul luogo di lavoro, in quanto non si tratta di una misura irragionevole né eccessivamente gravosa. Né risulta legittimo il comportamento dello stesso lavoratore, denigratorio della politica aziendale in materia di prevenzione del contagio. Tanto più che il lavoratore ricopriva anche il ruolo di RLS e, pertanto, la condotta tenuta dallo stesso risulta particolarmente grave.

Su tali presupposti, il Tribunale di Venezia accoglie il ricorso della società, dichiarando pienamente legittima la sanzione irrogata al dipendente.

FONTE: QUOTIDIANO GIURIDICO