La rinuncia all’eredità e le donazioni fatte in vita dal defunto

La morte di una persona determina la chiamata dei suoi successori all’eredità detta anche vocazione all’eredità che però non comporta per i chiamati all’acquisto automatico della qualità di erede e il subentro nella totalità dei rapporti trasmissibili del defunto.

L’ordinamento prevede che ciò avvenga in conseguenza di un atto di manifestazione della volontà del chiamato rappresentato dalla c.d. accettazione.

In ogni caso il chiamato all’eredità è libero di rinunciare ai diritti (e di evitare l’accollo dei relativi oneri) che l’assunzione della qualità di erede comporta. A tale fine l’ordinamento prevede il compimento di un atto definito rinunzia all’eredità. La rinunzia all’eredità è disciplinata al capo VII del titolo I, libro II del codice civile. La rinunzia all’eredità è un atto unilaterale non recettizio, cioè una dichiarazione non rivolta ad un destinatario determinato.

Contatta lo Studio per Informazioni

Disponibilità, Professionalità e Competenza

Per qualsiasi esigenza o domanda contatta l'Avv. Marco Alberto Zanetti.
Richiedi una consulenza o fissa un appuntamento.

In sostanza il chiamato all’eredità manifesta la sua volontà di non assumere la qualità di erede del defunto. Chi rinunzia all’eredità è considerato come non vi fosse mai stato chiamato: essa ha pertanto effetto retroattivo.

Il rinunziante però può trattenere comunque le donazioni ricevute e richiedere l’eventuale legato di cui sia stato reso beneficiario dal testatore (art. 521, art. 551 e 552 del codice civile).

Dalla rinuncia all’eredità del legittimario che trattenga le disposizioni a lui fatte a titolo di legato o donazione può conseguire una diminuzione della quota disponibile. Ciò può comportare un danno nei confronti degli altri beneficiati, pertanto, le disposizioni testamentarie e le donazioni eccedenti sono soggette all’azione di riduzione a tutela dell’integrità della quota di legittima da parte degli eredi legittimi in tutto o in parte pretermessi.