Blocco degli sfratti. Sempre più evidente l’incostituzionalità, ma il legislatore insiste

La proroga legislativa del blocco degli sfratti offre ai nostri giudici la concreta opportunità di verificarne la compatibilità al dettato costituzionale: il Tribunale di Trieste, ordinanza 24 aprile 2021, rimette la questione alla Consulta con ampia ed articolata motivazione estesa a tutti i parametri costituzionali che si assumono violati.

Il Tribunale di Trieste, in persona del Giudice Dott. David Di Paoli Paulovich, con ordinanza pronunziata il 24 aprile 2014, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in merito alla disciplina emergenziale che, nell’introdurre misure volte a contenere la diffusione dell’epidemia da Covid-19, ha sospeso l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili sino ad un termine ripetutamente prorogato. Trattasi, più precisamente, dell’art. 103, comma 6, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27, dell’art. 17-bis del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77 e, infine, dell’art. 13, comma 13 , del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito dalla Legge 26 febbraio 2021, n. 21.

Sono quattro gli argomenti impiegati dal giudice triestino per censurare le summenzionate disposizioni legislative e, segnatamente:

a) la carenza, per quanto concerne l’art. 13, 13° comma, del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183, dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza che abilitano il Governo alla decretazione d’urgenza, ex art. 77 Cost. Il difetto dei requisiti che, in via eccezionale, autorizzano l’organo esecutivo ad esercitare la funzione legislativa troverebbe conferma nell’inserimento della disposizione che ha differito il blocco degli sfratti in un provvedimento normativo dedicato a tutt’altre materie;

b) la congenita irrazionalità della normativa censurata, che sospende anche i provvedimenti di rilascio emessi per inadempimenti commessi dal conduttore in epoca anteriore all’insorgenza dell’emergenza epidemiologica e, quindi, per ragioni in alcun modo giustificabili o scusabili dalle difficoltà economiche sopravvenute. L’eguale trattamento riservato a tutte le forme di morosità (colpevoli o incolpevoli che siano, connesse o indipendenti dalla pandemia, etc…), al pari del totale disinteresse per gli interessi del locatore, integrerebbe un’arbitraria ed irragionevole discriminazione, come tale sindacabile ai sensi dell’art. 3 Cost.;

c) la violazione del contenuto essenziale del diritto di proprietà, nella misura in cui esso viene svuotato del suo contenuto per un lungo lasso temporale, senza riconoscimento di alcun indennizzo in favore del proprietario, con conseguente lesione degli artt. 42 e 47 Cost.;

d) la compromissione del diritto del creditore procedente ad una tutela giurisdizionale rapida ed efficace della proprietà di cui è titolare, in spregio degli artt. 1 e 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che permea nel nostro ordinamento per il tramite dell’art. 117 Cost.

La posizione assunta dal giudice triestino sembra potersi sintetizzare nella convinzione per cui la decretazione d’urgenza, nel tentativo di proteggere i soggetti maggiormente vulnerabili nel contesto dell’eccezionale congiuntura economica che si è venuta a creare, ha immotivatamente attribuito dignità ai soli interessi dei conduttori, negando ogni genere di protezione alle contrapposte aspirazioni dei locatori. Ciò sul presupposto – del tutto indimostrato e, talvolta, persino smentito dalle massime di esperienza – secondo cui è l’occupante abusivo dell’immobile, piuttosto che il proprietario del bene, a sopportare maggiormente gli effetti deleteri derivanti dalla crisi economica.

L’ordinanza di rimessione si spinge ben oltre alla dimostrazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, requisito necessario per adire la Consulta ex art. 23, comma 2, L. 11 marzo 1953, n. 87, giungendo a predicare l’evidente violazione del dato costituzionale, sotto i molteplici parametri testé indicati.

Gli scriventi hanno già salutato con favore il coraggio dei giudici che hanno prospettato l’illegittimità costituzionale di un intervento legislativo viziato (almeno all’apparenza) da plurimi elementi di grave iniquità sostanziale e, soprattutto, ben poco compatibile con la logica che presiede il cd. welfare state.

Ed è su questo aspetto che, anche in questa sede, preme richiamare l’attenzione.

Tutte le riflessioni sull’esigenza di contemperare la doverosa protezione dei soggetti più fragili con i diritti del proprietario, sull’opportunità di distinguere le morosità manifestatesi anteriormente alla pandemia da quelle verificatesi in epoca successiva, sull’impossibilità di compromettere i diritti della persona nel loro contenuto essenziali ovvero per una durata indeterminata, seppur intrinsecamente corrette e ben motivate, scontano un vizio intrinseco che ne pregiudica la piena persuasività ed efficacia argomentativa.

Il “peccato” originario è rappresentato dalla latitanza dello Stato, inteso come comunità, piuttosto che quale semplice apparato, rispetto ai suoi doveri istituzionali di prendersi carico – mediante le risorse finanziarie fornite dalla fiscalità generale – delle persone meritevoli di particolare protezione, vuoi per debolezze soggettive, vuoi perché maggiormente colpiti da fatti transeunti.

È chiaro, infatti, che il dovere di solidarietà politica, economica e sociale che l’art. 2 Cost. pone in capo a tutti i cittadini non può certo attuarsi trasferendo le difficoltà economiche dai soggetti bisognosi ad altri che, sulla base di criteri ampiamente discutibili, si presentano come maggiormente capienti, bensì con l’impiego dei fondi pubblici a disposizione degli enti pubblici, a cui tutti i contribuenti concorrono nel rispetto di norme a carattere generale e, soprattutto, in ragione della loro capacità contributiva, come prescritto dall’art. 53 Cost.

In altre e più schiette parole, a tradire il dato costituzionale non è tanto che gli sfratti sono stati bloccati per un periodo eccessivamente prolungato (circostanza, questa, che aggrava una situazione già di per sé intollerabile), quanto, ancor prima, l’inerzia dello Stato nel reperire alloggi a canoni popolari ai soggetti economicamente incapaci di procurarseli sul mercato e nell’indennizzare i proprietari per i danni sofferti a cagione del divieto legale di liberare gli immobili di loro proprietà da inquilini morosi.

A fronte di un contegno statale così palesemente inadempiente è ben difficile difendere, magari anche solo parzialmente ovvero sotto il profilo delle finalità perseguite, la normativa rettamente sospettata di illegittimità costituzionale da parte del Tribunale di Trieste, la quale giunge a concentrare su singoli consociati, “colpevoli” di aver concesso in locazione i loro beni a terzi, costi che dovrebbero essere equamente distribuiti su tutta la comunità.

Questo profilo, che si traduce nell’inottemperanza della Repubblica alle obbligazioni discendenti dal contratto sociale, precede ed assorbe ogni rilievo critico in ordine alla violazione delle singole disposizioni costituzionali, che il giudice triestino ha correttamente evidenziato e giustamente stigmatizzato, senza, però, contestualizzarle nel quadro ben più generale della desistenza dello Stato dall’assolvere i suoi compiti assistenziali verso l’inquilino incolpevolmente moroso e verso il proprietario che, a cagione della sospensione delle esecuzioni, abbia perduto una propria fonte reddituale.

Tornando al merito dell’ordinanza in disamina, non è da escludere che, nonostante la robustezza delle motivazioni addotte a sostegno della pretesa illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative censurate, la questione possa essere dichiarata inammissibile per non aver il giudice a quo tentato di interpretarle in senso costituzionalmente orientato.

La Consulta, infatti, ragiona sulle norme e si pronunzia sulle disposizioni, nel senso che, dopo aver censito tutte i significati ragionevolmente associabili alle previsioni legislative impugnate, soltanto qualora nessuna di esse si riveli conforme ai parametri costituzionali perviene alla dichiarazione di incostituzionalità.

Secondo il giudice delle leggi, “in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (sentenza 22 ottobre 1996, n. 356).

Le operazioni ermeneutiche di adeguamento del dato legislativo ai precetti costituzionali devono essere sperimentate e compiute dal giudice a quo sino al punto in cui il portato semantico della disposizione incriminata non ne consenta di ulteriori; l’ordinanza di rimessione deve dare atto di tali tentativi e della loro infruttuosità, pena l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale ed impregiudicata la sua possibilità di riproposizione alla stregua di un’ordinanza più precisamente motivata (sentenze 24 febbraio 2017, n. 42; 23 luglio 2013, n. 232; 22 maggio 2013, n. 91; 5 aprile 2012, n. 78).

Nella specie, ad avviso degli esponenti, il giudice a quo avrebbe dovuto quantomeno chiedersi se il diritto processuale del proprietario di far valere le proprie difficoltà economiche e di sottolineare non riconducibilità della morosità alla pandemia possa essere soddisfatto tramite la proposizione di un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., con cui il quale il ricorrente richieda il rilascio dell’immobile, non soltanto in virtù dell’inadempimento dell’occupante e della risoluzione del contratto, bensì per prevenire il fondato timore di un imminente ed irreparabile pregiudizio.

Il difetto, nell’ordinanza di rimessione, di questo passaggio argomentativo potrebbe costituire un serio vulnus all’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale ed indurre la Consulta ad una pronunzia di rigetto soltanto in rito.

Ciò non toglie, tuttavia, che, con una certa verosimiglianza, la Corte Costituzionale, nel futuro, magari sollecitata da altro giudice remittente, possa pervenire ad una dichiarazione di incostituzionalità del dispositivo normativo di interdizione degli sfratti.

In questa evenienza, potrebbero sorgere i presupposti d’indagine in merito ad una responsabilità dello Stato, personificato nel potere esecutivo che ha adottato la decretazione d’urgenza e nel potere legislativo che l’ha convertita in legge, per la promulgazione di atti normativi incostituzionali e, dunque, illegittimi. In modo particolare, atteso che tali provvedimenti legislativi hanno cagionato dei danni (senz’altro patrimoniali e, con tutta verosimiglianza, anche non patrimoniali) a carico dei proprietari degli immobili, è ragionevole interrogarsi se allo Stato possa ascriversi un’obbligazione di carattere risarcitorio, analogamente a quanto avviene nell’ipotesi in cui lo Stato membro dell’Unione Europea non adegui l’ordinamento domestico alle direttive comunitarie.

Sul punto, non ci si può dimenticare, però, come la nostra giurisprudenza sia propensa ad una risposta di segno negativo in omaggio alla sovranità dell’organo legislativo, le cui determinazioni, se incostituzionali, possono essere dichiarate nulle con il rimedio reale dell’incidente di costituzionalità, ma non generano nel singolo un diritto al risarcimento del danno (Cass. civ. sez. III, 22 novembre 2016, n. 23730; Cass. civ. sez. Unite 19 maggio 2016, n. 10319; Cass. civ. sez. Unite 14 maggio 2014, n. 10416). Ciò diversamente a quanto si verifica nel caso di inottemperanza dello Stato membro all’obbligo di recepimento della direttiva, ove la sovraordinazione dell’ordinamento comunitario rispetto al sistema normativo interno viene apprezzata come sufficiente a giustificare la reazione risarcitoria dell’individuo che ne sia rimasto vittima (Cass. civ. 6 marzo 2014, n. 307; Cass. civ. sez. Unite 17 aprile 2009, n. 9147).

Un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità del blocco degli sfratti, pertanto, potrà fornire a proprietari immobiliari e relative associazioni di categoria l’occasione di indurre i nostri giudici a rimeditare la loro tradizionale refrattarietà a responsabilizzare lo Stato-persona per atti costituzionalmente illegittimi e per quella che si sta sempre più avvicinando ad un’espropriazione per pubblica utilità senza riconoscimento di indennizzo al proprietario.

Riferimenti normativi:

Art. 103, comma 6, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27

Art. 17-bis , D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla L. 17 luglio 2020, n. 77

Art. 13, comma 13 , D.L. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito dalla L. 26 febbraio 2021, n. 21

FONTE: IL QUOTIDIANO GIURIDICO